Pur registrando ancora considerevoli picchi d’estate e intorno a Natale, ovvero quando la famiglia va in ferie (un tempo per lunghi periodi consecutivi, oggi se va bene per un paio di settimane) e sbologna per la strada l’amico a quattro zampe, questo terribile malcostume è ormai in vigore tutto l’anno. Benché a farne le spese siano soprattutto cani e gatti, dalla volubilità dei proprietari sono colpite diverse altre specie, dai volatili esotici (alcuni pappagalli sopravvissuti hanno colonizzato zone urbane) fino a cavalli, asini, capre, serpenti, maiali e conigli.
I tempi di crisi, come pure la diffusa insufficienza di assistenza veterinaria pubblica, non hanno fatto che peggiorare la situazione, cosicché l’abbandono può subentrare anche quando l’animale diventa un fardello economico.
Cosa dice la normativa
L’abbandono di animali è punito dall’articolo 727 del Codice penale, che puniva anche il maltrattamento di animali, prima dell’introduzione della Legge 189 del 2004. Quest’ultima ha attribuito maggiore gravità e autonomia a tali reati con l’inserimento del Titolo Nono-bis, Dei delitti contro il sentimento degli animali. L’articolo 727 c.p. è oggi dunque rubricato come abbandono di animali. Vive in un contesto normativo che conferisce riconoscimento sempre più accentuato alla necessità di tutelare le altre specie, e recita: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze“.
In cosa consiste l’abbandono di animali?
Esistono poi, innumerevoli, gli animali semiabbandonati in via permanente. Nelle grandi città è più difficile incontrarne, ma nei piccoli centri e nelle campagne vige l’uso di lasciare aperto il cancello cosicché cani e gatti possano scorrazzare liberamente. Non sterilizzati né provvisti di microchip, collare e medaglietta, essi appartengono a un padrone che di fatto si manifesta tale solo quando gli conviene.
Ci sono poi i cani lasciati a sé stessi da pastori o cacciatori perché anziani, malati o comunque inutili all’attività, i quali, prima di morire di stenti o investiti da un’automobile, fanno spesso in tempo a riprodursi, incrementando il randagismo.
Cosa si può fare per contrastare gli abbandoni
Alla base di ogni buon cambiamento ci sono sia le giuste attribuzioni di responsabilità che le politiche educative. Nel primo caso bisogna applicare la legge (fra le forze dell’ordine non dovrebbero scarseggiare i lettori di microchip) senza, come a volte capita, distogliere lo sguardo perché “si tratta solo di animali”. Non solo la normativa ne riconosce i diritti, ma è oltretutto risaputo l’impatto del loro abbandono sulla società. Sarebbero inoltre doverosi, da parte delle amministrazioni locali e soprattutto nelle zone rurali, periodici censimenti della popolazione canina e verifiche circa l’assoluzione dell’obbligo di iscrizione all’anagrafe regionale. Il secondo punto è ancora più importante: già nelle scuole si dovrebbero insegnare le principali regole di convivenza con le altre specie presenti nelle case degli italiani, in numero assai superiore a quello dei bambini, stando ad alcuni sondaggi.
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