Il dibattito è acceso: dopo l’esperienza dello smart-working dovuto alla pandemia è meglio tornare a lavorare in ufficio? Ne parlano tutti, lavoratori esausti ad avere lavorato da casa insieme ai figli capricciosi, single isolati e a corto di idee e di socialità da ‘macchinetta del caffè’, manager in crisi per carenza di ‘fiato sul collo’ verso il proprio team e amministratori che vorrebbero risparmiare sui costi delle vecchie sedi riducendone gli spazi. Torneremo a lavorare come prima del Covid o la pandemia ci ha mostrato una magnifica opportunità di lavoro da non perdere? Un sondaggio inglese fatto su oltre 500 imprese ci dice che metà di queste pianifica il proseguimento del lavoro da casa per cinque giorni alla settimana (fonte Bloomberg/Camera di Commercio e Industria londinese) ma che i lavoratori sono restii a rientrare in sede per il timore di contagiarsi col Covid durante il pendolarismo e non perché non vogliano tornare in ufficio, mentre molti economisti concordano sul fatto che è probabile che il lavoro a distanza continui anche al termine della pandemia e che, in questo modo, le company possano rivedere le sedi riducendone gli spazi, cambiando perfino quartiere e abbattendo anche i costi degli affitti.
Infine che questa nuova modalità potrà anche contribuire notevolmente a ridurre il traffico e lo smog cittadino. Si fa strada così il nuovo trend a favore del lavoro ‘ibrido’. Fatto salvi i diritti dei lavoratori, la rivista Harvard Business Review dedica un focus alla nuova opportunità per le imprese capaci di cambiare venendo incontro alle richieste dei dipendenti sull’orario di lavoro in presenza e flessibile, laddove non ci sia il contatto col pubblico, e rimodulare la tipologia di uffici (più piccoli, certamente). Tali scelte potranno perfino attirare nuovi manager di punta, si legge, perfino i migliori su piazza perchè non è la misura della scrivania a fare la differenza. Senza parlare del minore impatto che le imprese avranno sull’ambiente, riducendo la massa di lavoratori che si recano tutti giorni in macchina in ufficio arrivando dalle periferie.
Osserva il lato più positivo del cambiamento in corso ponendosi la domanda chiave ‘Ancora servono gli uffici?’ anche Nikodem Szumilo, professore associato di economia e finanza alla University College London che partecipa al focus dell’Harvard Business Review di questo mese. E i manager? Sono d’accordo a rinunciare ad uffici spaziosi e alle scrivanie più grandi? Szumilo azzarda un ‘yes’ , anche se non avere i propri subordinati vicini e non poterli controllare o non poter scambiare chiacchiere informali con loro per brainstorming spontanei sono le prime due obiezioni più comuni che elencano molti direttori. Supervisione e interazioni informali però sono solo apparenti, si legge nell’articolo che ricorda come i sistemi per monitorare lo svolgimento del lavoro anche da remoto sono stati incrementati in modo esponenziale durante il lockdown dando ottimi frutti (dalle videocall alle chat di gruppo e alle piattaforme di lavoro per progetti comuni come quelle che si organizzano su Slack) .
Un altro nuovo elemento spunta dal cappello del lavoro ibrido: attrarrà i migliori cervelli. Come? “Non è la sede dell’ufficio, né la grandezza delle scrivanie a convincere un manager di punta a lavorare per voi. Un lavoratore di talento andrà volentieri anche in un ufficio più piccolo se qui potrà essere più produttivo. La qualità e i servizi offerti nelle nuove sedi ‘ristrette’ farà la differenza. Il prestigio passerà presto anche attraverso questi elementi.” Lo stile di lavoro ‘ibrido’ diventerà mainstream?